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Il fintech è uno strumento di democrazia economica?

La finanza alternativa, per sua natura neutrale e diffusa, rappresenta una vera e propria rivoluzione che non pone barriere all’ingresso. Ma occorre conoscerne i meccanismi per trarne i maggiori vantaggi.



L’applicazione degli strumenti digitali al mondo finanziario ha portato a una maggiore velocità nell’accesso al credito da parte delle imprese, facilitando a loro vantaggio la reperibilità di risorse, e ridotto i rischi per i soggetti finanziari. L’evoluzione di questo fenomeno, seppur caratterizzato da alti e bassi (vedi il valore degli investimenti elargiti alle startup, oggi in regresso dopo un 2021 boom), ci sta dicendo che il fintech è una risorsa ormai imprescindibile per affrontare le sfide del mercato, sia a livello locale che globale.

 

La diffusione crescente delle piattaforme di finanza digitale, però, sta anche imprimendo un cambiamento più profondo e generalizzato, qualcosa che si può definire una vera rivoluzione. Lo ha messo in evidenza un recente articolo pubblicato sul Sole 24 Ore a firma di Giuseppe Vegas, in cui emerge senza mezzi termini come il fintech “è il più potente ed efficiente strumento per ridefinire i termini della democrazia economica”. Perché possiamo considerare lecita, oltre che di sicuro impatto, una simile affermazione? La risposta è abbastanza semplice e vi sono alcune interessanti correlazioni con le trasformazioni che la tecnologia digitale ha portato, e sta tutt’ora portando, nella società e nel mondo delle imprese.

Innanzitutto il fintech è un agente “super partes”: diversamente dalle regolamentazioni imposte da governi e autorità di controllo dei mercati, che storicamente hanno sempre tutelato la stabilità generale del sistema e quindi salvaguardato gli interessi delle tradizionali istituzioni finanziarie (banche in primis), agisce come intelligenza neutrale e collettiva rompendo vecchi schermi e disintermediando modelli e meccanismi di relazione rigidi e spesso pure farraginosi. Il fintech, si potrebbe dire, opera rispetto alle regole del mercato, premiando i comportamenti più virtuosi, facendo selezione naturale, abbinando intelligenza tecnologica a intelligenza (e competenza) umana.

 

L’altra sua grande peculiarità, che l’ha reso diffuso e pervasivo in ogni Paese o quasi, è che non prevede barriere

Centrale

all’ingresso ed è accessibile potenzialmente a tutti, grazie a piattaforme tecnologiche a basso costo che consentono di aumentarne la penetrazione e la visibilità e la possibilità di interagire con esse in completa autonomia. In tal senso lo si può definire un sistema decisionale “aperto”, che trasporta le logiche e le pratiche della finanza da un ambito ristretto di pochi eletti a quello della società reale, fatta di imprese e di persone (leggi imprenditori e consulenti). Il fintech, in questo senso, ha in dote una virtù nascosta, quella di poter contribuire a cambiare la percezione negativa che ha contrassegnato fino a oggi il mondo finanziario, smussando le asperità che spesso hanno limitato l’innovazione del rapporto fra domanda e offerta di capitali.

 

La necessità di democratizzare la finanza non è comunque un concetto nuovo, proprio perché si tratta di permettere virtualmente a chiunque di partecipare ai mercati e di assicurare a tutti la possibilità di gestire nel modo migliore il proprio rischio e la propria impresa. La grande differenza, rispetto a un po’ di tempo fa, è nella pervasività della tecnologia digitale, nella sua facilità d’uso e nella capacità di abilitare efficienza di processo all’insegna di flessibilità e velocità. È quanto è successo con la democratizzazione dell’informazione apportata da Internet e dai social media. 


Ed è su questo punto che si inserisce la criticità contenuta nell’analisi del Sole 24 Ore: le piattaforme su cui si regge l’attuale economia di Internet e del digitale nel suo complesso sono in mano a poche grandissime aziende, le cosiddette Big Tech, dotate di un potere finanziario straordinario. Le autorità Antitrust europee sono già intervenute più volte per limitare e non far debordare ulteriormente il potere di Google & Co. e a loro spetta il compito di garantire l’esistenza di un mercato davvero aperto e concorrenziale. Alle fintech, e soprattutto alle fintech italiane nate per rispondere alle esigenze di accesso al credito delle imprese, e delle Pmi in modo particolare, spetta quello di creare i presupposti affinché il principio della democratizzazione della finanza sia correttamente (e concretamente) scaricato a terra, distillandolo nei modelli di credit scoring, nelle richieste di prestito, nelle soluzioni di invoice trading, in tutti quei servizi che permettono di monetizzare e valorizzare crediti e asset. Servono normative ad hoc, serve un cambio culturale. Servono competenze.