Un consumatore su due è consapevole che, per accedere a un prodotto o servizio finanziario e ricevere assistenza nelle fasi di verifica delle procedure di richiesta del servizio stesso, deve essere disposto ad autorizzare l’accesso alle proprie informazioni.
Lo dice lo studio “2022 Business and Consumer Insight Report” redatto da Forrester Consulting per conto di Experian (multinazionale irlandese attiva nel campo dell’analisi dei dati e del reporting del credito al consumo), che conferma una precisa tendenza.
La disponibilità degli utenti a condividere i propri dati apre numerose opportunità per le aziende perché tali dati possono essere trasformati in informazioni utili a fornire una customer experience più efficiente e personalizzata.
E una migliore esperienza può potenzialmente incoraggiare i consumatori a condividere altri dati.
Se le imprese hanno ben chiaro il valore dell’open banking, sono ancora pochi (in valore assoluto) coloro che ne hanno compreso appieno i vantaggi. Per questo, tocca alle imprese illustrarne chiaramente il valore per incoraggiare chi è ancora restio a condividere i propri dati.
La ricerca rileva in proposito come il 40% dei consumatori non sia disposto a condividerli, ma una percentuale significativa di questo cluster sarebbe invece propensa a cambiare idea per validi motivi.
La ricerca rileva proprio che il 40% dei consumatori non è disposto a condividere i propri dati, ma una percentuale significativa di questo cluster sarebbe invece propensa a cambiare idea per validi motivi.
Ma quali?
Se la condivisione dei propri dati consentisse di velocizzare le procedure di richiesta o di ottenere offerte più vantaggiose, come tassi di prestito più convenienti, o di evitare di dover allegare documenti in serie.
Integrando tali benefici nelle procedure di richiesta, le imprese possono prendere più rapidamente decisioni legate ai prestiti e sfruttare l’elevato livello di dettaglio dei dati provenienti dalle informazioni finanziarie fornite dai consumatori.
È questo il circolo virtuoso dell’open banking che sta stimolando gli investimenti dei fornitori di servizi finanziari e di telecomunicazione in questo ambito.
Questo è il modello alla base dell’attività di Change Capital dove la capacità di elaborare i dati dei clienti (il numero di Partita Iva delle piccole e medie imprese) ci permette di:
Il tutto in modalità completamente digitale, trasparente e sicura.
Tornando alla ricerca, che ha interessato circa 650 aziende dei settori telco e finance e più di 3mila consumatori di sette Paesi dell’area Emea (Italia compresa) fra le indicazioni più rilevanti emerse spicca per esempio quella che vede un quarto delle organizzazioni intervistate ritenere l’open banking una priorità per ampliare il business e per migliorare l’accuratezza delle procedure di credit scoring.
L’obiettivo finale è di garantire a singoli individui e piccole imprese un accesso più equo al credito.
L’87% delle imprese italiane, in particolare, ha già investito o sta pianificando di investire in soluzioni di open banking mentre circa un terzo dei consumatori della Penisola ha abbandonato in passato l’iter di richiesta online di servizi o di linee di credito per la troppa complessità.
La maggior parte di questi vorrebbe che tali servizi fossero maggiormente confezionati su misura, anche con il supporto di assistenti virtuali.
Fra le altre evidenze relative all’Italia, infine, merita attenzione quest’ultimo dato: il 29% delle imprese oggetto di indagine ritiene di non avere a disposizione dati sufficienti per migliorare le proprie performance.
Ed è questa la principale sfida da vincere: poter disporre dei dati transazionali dell’open banking non solo permette di sviluppare un sistema di valutazione del rischio autonomo e più solido rispetto a un classico bureau score solitamente impiegato per verificare l’accessibilità economica di un potenziale cliente.
I dati forniscono informazioni dettagliate e sono la “moneta” preziosa per migliorare il livello di servizio verso il cliente finale, sia nel caso si tratti di consumatori o Pmi.