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Fintech, l’Italia va in controtendenza. L’ecosistema c’è ma va supportato

Nel 2022, il numero delle startup attive in Italia è cresciuto del 13% rispetto all’anno precedente. I finanziamenti superano i 900 milioni di euro. Ma per superare l’onda lunga della fase di consolidamento già registrata a livello mondiale serve dal governo una (seria) politica di supporto.

Un articolo uscito di recente sul Sole24ore ha fatto il punto sulla situazione del fintech in Italia con una fotografia dell’andamento del settore su scala mondiale.

Dopo una corsa molto accelerata che nel 2021 ha portato gli investimenti complessivi a superare su scala globale quota 200 miliardi di dollari e i finanziamenti alle startup/scaleup i 138 miliardi, oggi la finanza tecnologica vive a livello internazionale una fase di transizione, confermato dal calo registrato nei primi sei mesi di quest’anno dei round di finanziamento per numero e valore e dalla riduzione del numero di nuovi unicorni.

 

 

Fonte CB Insight

 

In Italia, invece, l’andamento più lineare degli ultimi 18 mesi non induce a ipotizzare il rischio di un possibile “sboom” bensì a una fase di consolidamento dell’ecosistema che si avvia (non senza ostacoli, scrive il Sole24ore) a una necessaria fase di ulteriore crescita e sviluppo. Il nostro Paese, e sono i dati citati dal Direttore Scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, Marco Giorgino, a fare fede, è in controtendenza rispetto all’andamento del mercato fintech mondiale, con un numero startup cresciuto in questi primi nove mesi del 13% rispetto all’anno precedente e una raccolta di finanziamenti (soprattutto in equity) che supera i 900 milioni di euro

 

Ciò che gli esperti rilevano, ed è questo il fattore più importante, è la diversa maturità dell’ecosistema fintech italiano, confermata dalla condivisione “reale” di alcuni parti dei processi finanziari fra startup, operatori incumbent (banche), provider di tecnologia, enti regolatori e non in ultimo gli utenti, i veri driver dell’impennata di adozione dei servizi digitali.

Crescono in un’ottica di partnership e co-operazione, come dice Giorgino, le interazioni. Tra i due mondi, quello della finanza tradizionale e quello della finanza alternativa, e questa interazione si può concretizzare grazie alla tecnologia, che garantisce velocità e potenza di calcolo per la misurazione del rischio, l’accesso al credito e la gestione dei pagamenti in forma completamente digitale.

 

Se la sfida principale, come ha osservato Silvia Attanasio, Responsabile Ufficio Innovazione di Abi, è costruire un ponte fra banche e fintech nel segno di una maggiore sicurezza e privacy per i consumatori e sfruttare la discontinuità portata dal digitale per migliorare il livello di servizio per gli utenti (imprese e consumatori finali), c’è però un aspetto da non trascurare. Ed è l’attenzione che le istituzioni, e il nuovo esecutivo nella fattispecie, rivolgerà al settore fintech. Il fatto che sia venuto meno il Ministero dell’Innovazione, con la partita del Pnrr (e i fondi destinati alla trasformazione digitale) ancora da giocare, non è di buon auspicio. 

 

E per questo sosteniamo l’appello di Camilla Cionini Visani, Direttore Generale dell’Associazione ItaliaFintech, che nel rimarcare come l’ecosistema nazionale inizi ad attirare investitori di prima fascia su scala internazionale, ha auspicato dalle pagine del Sole 24ore due azioni per dare fiato all’ulteriore sviluppo dell’ecosistema: la sempre maggiore convergenza fra le diverse componenti in gioco (regolatoria, innovativa e di business) e, soprattutto, la necessità di fare del fintech una priorità del governo attraverso un piano industriale di supporto dedicato.