Il mondo dei servizi finanziari è prossimo a una nuova svolta, che vedrà (potenzialmente) qualsiasi azienda di qualsiasi settore avere a disposizione gli strumenti digitali e piattaforme aperte per offrire ai propri clienti prestiti, assicurazioni o servizi di pagamento.
Per chi mastica la materia, la definizione di “embedded finance” dovrebbe essere ormai acquisita. Di certo si tratta di un fenomeno destinato a diventare sempre più grande e importante negli anni a venire: secondo recenti stime elaborate da Abn Amro, entro il 2026 la quasi totalità delle imprese avrà lanciato una propria offerta di “finanza integrata” alimentando un mercato il cui potenziale ha un valore stimato di oltre 7mila miliardi di dollari entro il 2030. Numeri e previsioni a parte, è pensiero comune a tanti che l’embedded finance sia a tutti gli effetti una risposta efficace alla domanda di un’esperienza di acquisto sempre più snella, disintermediata e time-saving da parte dei consumatori.
Torniamo però indietro di un passo, alla sua definizione. Per finanza incorporata si intende la possibilità, per aziende di qualsiasi settore, di fornire alla propria clientela servizi finanziari (pagamenti, sottoscrizione di polizze assicurative, investimenti, richiesta di prestiti e finanziamenti) in modo del tutto intuitivo e personalizzato. Nato qualche anno fa, il fenomeno ha conosciuto negli ultimi due anni una notevole impennata, complice la maggiore diffusione di servizi tipicamente offerti a catalogo dagli istituti di credito tradizionali e ora associati ora a brand di industry storicamente “lontane” dal banking. È uno degli effetti della digitalizzazione e dell’accelerazione che questo processo ha avuto con la pandemia: se il settore bancario (e assicurativo) ha retto all’urto del lockdown lo deve alla tecnologia e ai canali digitali. E l’ecosistema delle fintech, cresciuto esponenzialmente in questi ultimi 24 mesi, lo sa molto bene.
Un altro fondamentale impulso all’embedded finance è stato dato dall’entrata in vigore (settembre 2019) della seconda direttiva europea sui servizi di pagamento, la Payment Services Directive 2, la ben nota PSD2. L’era dell’open banking in Europa ha finalmente “sdoganato” la tendenza che prevede la collaborazione tra le società tecnologiche (startup fintech comprese) e le banche, chiamate dalla normativa a condividere con provider terze parti i dati dei clienti (previo loro consenso) sfruttando le interfacce API. Il principio del banking as a service, della finanza come servizio nasce per l’appunto da qui, dalla possibilità di moltiplicare esponenzialmente le opportunità di allargare la platea di clienti offrendo servizi finanziari fruibili in tempo reale da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, in modo del tutto svincolato dalla sede fisica. E da qui nasce, grazie alle fintech, anche l’opportunità per qualsiasi azienda di integrare nelle proprie offerte un paniere di servizi finanziari innovativi “chiavi in mano” e costruiti su misura con lo scopo di fidelizzare i clienti esistenti, attirarne di nuovi e acquisire più dati per migliorare la customer experience.
Il concetto che tutte le aziende possano (o debbano) diventare delle tech o data driven company oggi si amplia, grazie all’effetto volano generato dall’embedded finance, all’idea che tutte potranno anche diventare fornitori di servizi finanziari. Si parla a proposito di “pure-as-a-service”, una nuova fase del fintech che va oltre la collaborazione e la fornitura di piattaforme tecnologiche intelligenti che consentono di proporre alla clientela un particolare servizio finanziario. E il tassello che si aggiunge sono le “licenze” per poter erogare praticamente questo servizio. In altre parole, qualsiasi azienda che adotta questo modello potrà svolgere attività di tipo finanziario in alternativa (o in modo complementare) alle banche, agli istituti di pagamento o alle società di factoring e così via, mettendo a disposizione prestiti, polizze assicurative, servizi di pagamento o di asset management.
Secondo alcuni addetti ai lavori, il pure-as-a-service è l’evoluzione dell’embedded finance. Per altri è un’evoluzione naturale del concetto di open banking, che si estende a operatori diversi dagli incumbent e in grado di sopperire alle inefficienze (in fatto di velocità e qualità del servizio) di questi ultimi. Tutti sono però concordi nell’osservare come la digitalizzazione sia diventata una necessità per le aziende che vogliano continuare a crescere (ampliando il proprio raggio d’azione e aumentando la propria competitività) e una risposta concreta alla necessità di lavorare, comunicare, fare acquisti e gestire in modo oculato le proprie finanze anche dal salotto di casa.